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[ una partita a biliardo ] 
Vincent - Sono sempre più convinto… che lavorando assiduamente dal vero senza dirsi preventivamente: ‘Voglio fare questo o quest’altro’, ma lavorando come se si facessero delle scarpe, senza preoccupazioni artistiche, non si farà sempre bene, ma verrà il giorno in cui, anche non pensandoci, si troverà un soggetto di pari valore del lavoro di quelli che ci hanno preceduto….[1]
Dur. 05' 53"
Ma in fin dei conti questi libri sotto l’arlesiana forse sono stati messi lì semplicemente per dare un basamento reale, poggiarla su di un piano suggerito tanto più solido in quanto sostiene, oltre al gomito della donna, anche il peso dei due volumi.
Rappresentanti delle forze di gravità, di cose e pittura delle cose, quei due libri rafforzano la sensazione di concretezza e solidità pittorica della figura sovrastante.[2]
E questa potrebbe essere solo un altro pezzo di verità in pittura... 

- Che storia è poi questa che vuoi rifilarci? - direte. Entra madame Ginoux e dalla sedia i libri rotolano via per finire sul tavolo… Entra madame Roulin e la luce si materia in girasoli d’attrazione… 

Il fatto è che le “cose” di van Gogh non sono fluide, non sono fatte della luce impressionista e cangiante, ma di materia reale, pesante [3], grave e aggravata come il colore che l’olandese strizza via dai tubetti di piombo che da Parigi gli arrivano con accelerazione ferroviaria per incalzare la figura.
Colpite da forze reali le sue cose pittoriche, rese impenetrabili come la materia più solida, sono altrettante forze che si muovono sul panno di un biliardo come delle pesanti biglie d’avorio il cui incontro non è per niente bello come l’incontro fortuito di un paio di guanti con dei libri sopra un tavolo da dissezione…
E non è neppure un incontro necessario
E’ solo l’incontro insuperabile del pittore al lavoro sul “motivo” da non superare nella natura e nella pittura. 

Qualcuno ha notato che le ultime opere di van Gogh mancano di profondità; le forze e i pesi dei colori, distribuiti uniformemente sulla superficie, conferiscono al quadro un aspetto “decorativo”.[4]
Sembra che alla fine la pittura in van Gogh non riesca più ad intrattenersi sul piano della rappresentazione.
La figura e lo sfondo non si oppongono più tra loro. E mentre entrambe iniziano ad andare in pezzi, intanto è la pittura a cercare di prendere il sopravvento.
-"Quando Mauve videi i miei studi, mi disse subuto: Stato troppo vicono al modello".[5]
Vincent, dopo essersi avvicinato troppo al modello si è avvicinato troppo anche alla natura della pittura, fino a toccargli il pelo?
Fino a lisciargli il pelo?
Fino a rifargli il pelo?
Con van Gogh la pittura ha avuto l'ultima occasione d'esser veduta dagli occhi di un pittore, e la pittura ha avuto la prima occasione di darsi un’occhiata.
Ancora due decenni e figura e sfondo si scaricheranno d’ogni intima tensione residua per mostrarsi in un unico colpo d’occhio e istituire il piano unico della "visione", abbandonando al proprio destino l’immagine del Mondo...

[1] - Vincent a  Theo, Saint-Rémy, 26 novembre 1889 (n. 823-615).
[2] - “Ho portato un paio di libri per avere alcune idee solide nella mia testa” (Vincent a Theo, Arles 29 marzo 1889; 753-582)
[3] - G. Deleuze-F. Guattari, Sul ritornello, cit., p. 56: “Il pittore Millet dice che ciò che conta in pittura non è, ad esempio, quel che un contadino porta, oggetto sacro o sacco di patate, ma il peso esatto di quel che porta. E’ la svolta postromantica, l’essenziale  non è più nelle forme e nelle materie o nei temi, ma nelle forze, nelle densità, nelle intensità. La terra stessa si capovolge e tende a valere come il puro materiale di una forza gravifica o di pesantezza. Forse bisognerà attendere Cézanne perché le rocce esistano soltanto per le forze di piegamento che captano, i paesaggi per forze magnetiche e termiche, le mele per forze di germinazione: forze non visive e tuttavia rese visibili. Le forze divengono necessariamente cosmiche, nello stesso tempo in cui il materiale diventa molecolare, una forza immensa opera in uno spazio infinitesimale. Il problema non è più quello di un principio e neanche quello di una fondazione-fondamento. E’ divenuto un problema di consistenza e di consolidamento: come consolidare il materiale, come renderlo consistente, perché possa captare queste forze non sonore, non visibili, non pensabili?”.
[4] - Ingo F. Walther e Rainer Metzger, Van Gogh, tutti i dipinti, ed. Taschen, Colonia 2006 (capitolo Tappezzerie e fregi, L’”art nouveau” di van Gogh, p. 653-667).
[5] - V. van Gogh, lett. a Theo n.164, Etten, dicembre 1881].



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